Maurizio
Venari u 31 d'Aostu 2012

Salve a tutti!
Sono nuovo di questo forum e non so se accettate anche contributi in italiano. Se non è così scusatemi e cestinate pure questo post.
Sono un amante della Còrsica e della sua cultura e mi appassionano molto i tentativi che vengono fatti per salvarne la lingua. 
Quello che non capisco è perché questo risultato lo si voglia ottenere con quello che mi pare un vero e proprio suicidio culturale: lo sradicamento totale e definitivo della cultura e della lingua còrse dalle loro radici Italiane.
A questo punto mi ronzano le orecchie: "Ecco il solito fascista!", "Irredentista! Lucchese! Macaroni!"
Fermi tutti! Io sono un cittadino della Repubblica Italiana, che è tornata ad essere una nazione democratica da quasi settant'anni, non aspiro al "rattachement" della Còrsica all'Italia e non è affar mio se i còrsi si sentono francesi, franco-còrsi, corsi-francesi o còrsi e basta. Le loro faccende politiche non mi riguardano e non possono riguardarmi perché sono uno straniero. Punto. È chiaro?
Vorrei solo permettermi di fare qualche considerazione di carattere storico e culturale. 
Vi pare che il giustamente tanto amato Pasquale Paoli, il "Babbu" della Patria di cui in Corsica tutti parlano e che tutti "usano" (talvolta anche a sproposito, col rischio di trasformarlo da quel colto uomo dei Lumi che era in una specie di Pancho Villa) avrebbe scelto l'italiano come lingua delle istituzioni, delle Costituzioni e dell'Università della Còrsica libera se l'avesse considerato una lingua straniera?
Ma era la lingua della "Dominante" -  mi si dirà - dell'odiata Repubblica di Genova che ha sfruttato e oppresso i còrsi per tanto tempo! Sì, ma la Corsica non era mica il Congo Belga e l'italiano era l'idioma letterario e di cultura dei còrsi già molto prima della dominazione genovese, quando quel breve tratto di Tirreno che oggi sembra diventato un oceano (almeno in direzione Corsica-Italia) era quasi un piccolo lago, percorso nei due sensi da uomini d'arme e di cultura, religiosi e mercanti. 
È inutile ricordare i legami storici, culturali e soprattutto linguistici della Corsica con Pisa e la Toscana, come i rapporti con la Roma del Papa ed altri stati peninsulari, molto diversi da quelli, pessimi, avuti sempre con Genova.
Che lo si voglia ammettere o no, la Corsica ha avuto, per secoli, un'identità italiana. 
A quale "Italia" ci riferisce però? Certo non al moderno stato unitario, bensì ad una realtà, un tempo molto più "allargata" di quella odierna che, similmente al mondo germanico, comprendeva una miriade di territori, stati, staterelli e domini, spesso armati l'uno contro l'altro o soggetti a dominazioni straniere, uniti però storicamente da una lingua comune e dalla coscienza di appartenere ad una civiltà e ad una cultura che nei secoli tanto avevano dato al mondo intero. 
All'interno di ognuna di queste entità, assieme alla lingua "colta", il toscano letterario o italiano, usato in campo amministrativo, commerciale, letterario e religioso, esistevano sempre una o, nella maggior parte dei casi, più lingue o varianti linguistiche legate alla comunicazione in ambito locale e familiare ma anche all'espressione più autentica della poesia e della musica popolari.
Queste forme espressive convivevano e si influenzavano a vicenda, in un confronto che non sempre risultava negativo per le lingue locali, specie quando il loro legame con la lingua "colta", ed è il caso del còrso, era intimo e profondo.
Infatti l'Italiano e il còrso (lingue fra le quali esiste tuttora uno dei più alti livelli di intercomprensibilità nell'area romanza) hanno continuato a convivere benissimo per molti anni, anche dopo l'ingresso dell'isola nell'orbita politica francese e se il còrso ha cominciato progressivamente ad assumere dignità letteraria e a trovare forma scritta, lo si deve soprattutto a scrittori e poeti, come Salvatore Viale, che non hanno mai pensato di rinnegare la lingua di Dante. Di più, ho notato che perfino negli ambienti còrsi attualmente più ostili e "negazionisti" nei confronti delle antiche radici, pur con le omissioni, gli imbarazzi e le censure riservate agli intellettuali più compromessi col fascismo, non si può fare a meno di riconoscere come la miglior produzione letteraria e poetica in lingua corsa sia forse, ancora oggi, quella che proviene da una generazione che conservava ancora con la cultura italiana legami profondi.
Oggi questi legami sono stati pressoché totalmente recisi. Siamo arrivati alla fine di un lento processo che è durato quasi due secoli e mezzo.
Dopo la sconfitta di Ponte Nuovo la logica, la storia e il sentimento avrebbero voluto che a questa identità italiana si affiancasse, senza soffocarla, quella francese. Sappiamo che non è stato così. L'epoca dei nazionalismi esasperati, avversa alle pacifiche convivenze multiculturali non lo poteva permettere e l'atteggiamento dei governi di Parigi succedutisi nel tempo, anche di quelli democratici e repubblicani, sostanzialmente non si è discostato molto, in questo campo, da quello di molti regimi dittatoriali, quello mussoliniano in testa.
A chi volesse farsi un'idea di questo lungo processo di espropriazione nei confronti dei còrsi della antica lingua e della cultura dei padri, consiglio la lettura di un interessante saggio del sociologo italiano Sabino Acquaviva, studioso alieno da sentimenti revanscisti o simpatie filo fasciste, dal titolo un po' " forte" ma significativo: "La Corsica: storia di un genocidio. Franco Angeli, Milano, 1987".
Nonostante la proibizione di usare la lingua italiana in atti e documenti pubblici, di insegnarla nelle scuole, di attribuire nomi propri italiani, di utilizzare legalmente i titoli accademici che, come da tradizione, molti giovani còrsi conseguivano presso le più prestigiose Università italiane (Pisa in particolare), la francesizzazione della Chiesa locale, ultimo baluardo della lingua italiana, con la sostituzione dei vescovi còrsi con altri "continentali", la partecipazione alle vicende e alle guerre della Francia e l'emigrazione, l'italiano stentò comunque a morire, se è vero che i còrsi che riportarono nella casa natale di Stretta di Morosaglia le spoglie di Pasquale Paoli nel 1889, a 120 anni da Ponte Nuovo, trovarono ancora naturale apporre sul suo sepolcro una lapide scritta in quella lingua. 
Nei successivi 123 anni, fino ad oggi, il processo di "de italianizzazione" dei còrsi  è arrivato, con accelerazioni improvvise, a compimento. Gli equivoci e le incomprensioni della prima metà del secolo scorso, i rancori e le ferite derivati dalla guerra e dall'occupazione italiana, le violenze e le rappresaglie del fascismo in agonia, l'immigrazione massiccia di "Pieds noirs", francesi "continentali" ed africani, la strumentale e sbrigativa assimilazione ad un "irredentismo" ormai morto e sepolto di qualsiasi simpatia o legame culturale con l'Italia e settant'anni - tantissimi, troppi, anche perché trascorsi in tempo di pace e democrazia - di innaturale paralisi dei rapporti fra le due sponde del Tirreno si sono rivelati letali. 
Due popoli un tempo vicinissimi sono diventati di fatto alieni ed è triste e buffo allo stesso tempo vedere come nelle occasioni in cui vengono a contatto (per lo più d'estate, quando migliaia di italiani sbarcano dai traghetti in cerca di belle spiagge) si "annusino" con diffidenza e magari finiscano per parlarsi ... in inglese!
Questo rappresenta un danno? Secondo me sì, enorme, e per diversi motivi. 
Prima di tutto l'allontanamento dei còrsi dalla cultura italiana è, già di per sé, una cosa molto triste, perché ne hanno sempre fatto parte a pieno titolo e rinunciarvi significa perdere per sempre una parte significativa della loro storia e della loro identità. 
In secondo luogo l'italiano, contrariamente a quanto si vuol far credere loro, non è per i còrsi una lingua straniera ma gli appartiene, proprio come ai cittadini della Repubblica Italiana, agli abitanti del Canton Ticino e dei Grigioni, a quelli di San Marino e della Città del Vaticano e alle minoranze italiane rimaste in Istria e Dalmazia dopo la pulizia etnica seguita alla seconda guerra mondiale. 
Riappropriarsene sarebbe, oltre che naturale, anche opportuno, non solo per motivi storici e culturali ma anche pratici. Riallacciare dei contatti autonomi, anche commerciali, con l'italia sarebbe un bene per la Corsica e per i suoi giovani, che avrebbero a un tiro di schioppo un potenziale bacino di lavoro, specie nel campo delle lingue e del turismo, di 60 milioni di italofoni fra indigeni e immigrati.
Infine, la sopravvivenza dell'italiano credo sia indispensabile per quella del còrso che, diciamolo, nonostante il continuo fiorire di poesie e canzoni, i tentativi di codificazione che lo rendono sempre più artificiale, i neologismi presi necessariamente dal francese, il susseguirsi di buoni propositi e i "contentini" legislativi (che mi pare però lo releghino a folcloristico, innocuo vernacolo per studenti ormai completamente calati nella cultura parigina) stenta a decollare come lingua nazionale e mi sembra agonizzi anche a livello domestico e familiare. Perfino sui siti internet dei più "arrabbiati" nazionalisti ci si esprime ormai prevalentemente in francese!
Non si capisce infatti come potrebbe essere altrimenti, accerchiato com'è il còrso da quelle "corazzate" che sono la lingua e la cultura francesi.
La vecchia stampella dell'italiano non c'è più. Non c'è più una lingua vicina e amica con cui dialogare, da cui attingere nuove terminologie, legata ad una cultura con forza e tradizioni almeno pari a quella francese ed internazionalmente riconosciuta ed apprezzata.
Senza la stampella della vecchia lingua storica, l'italiano, il còrso rischia di morire. Eppure ho l'impressione che la maggior parte dei còrsi non se ne renda conto. Anziché come una risorsa e un aiuto l'italiano mi sembra sia visto addirittura come un impaccio, un qualcosa di cui liberarsi, un nemico di quella lingua còrsa finalmente libera che non ha bisogno di nulla e di nessuno. 
Per sostenere questo concetto si fa di tutto, dall'agitare i logori e vecchi fantasmi del passato fascista all'elaborazione di assurde teorie linguistiche, che presentano il còrso come lingua spuntata chissà da dove (Atlantide?) e senza alcun collegamento con l'italiano; dalla sopravvalutazione degli interventi di qualche esaltato nazistello italiano sui forum alle omissioni più assurde su tutto ciò che riguarda la lingua e la cultura italiane in Corsica. Ogni occasione è buona per evidenziare le differenze e non le cose in comune. Persino la vecchia dominazione Genovese viene ogni tanto evocata, come se si volesse collegarla idealmente alla sciagurata occupazione voluta dai Mussolini, quasi si trattasse di dimostrare che gli italiani sono stati sempre degli invasori, dei prevaricatori di cui bisogna diffidare e dai quali è meglio prendere definitivamente le distanze.
Tutto ciò è di una tale tristezza! Solo poche voci mi sembra non seguano la "vulgata" predominante, come il gruppo che si raccoglie intorno alla rivista "A Viva Voce", non a caso composto anche da studiosi come Pascal Marchetti e Paul Colombani, profondi conoscitori della storia, della cultura e della lingua corse come di quelle italiane.
Perché questa situazione mi colpisce tanto? Non so, forse perché amo e sono orgoglioso della mia lingua e della mia cultura e mi spiace vederle disprezzate e gettate via come un fardello inutile, oppure perché quando sono sbarcato in Corsica la prima volta, una trentina di anni fa, ne sono rimasto subito affascinato e conquistato perché tutto, dalla natura alla gente, ai paesi, all'architettura, ai sapori e ai profumi evocava in me qualcosa di familiare, di ancestrale.
Una sensazione talmente forte che ancora oggi, a ventun anni dal mio ultimo viaggio sull'Isola, sono qui a parlarne.
Un abbraccio a tutti, còrsi e italiani, con la speranza che la "crusca" possa tornare ad aiutare la "filetta" a crescere sana e forte!
Maurizio







 
 

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